Alfabetizzare la metropolitana milanese

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Con l’inaugurazione del primo tratto della linea 5 della metropolitana milanese, è tornata alla ribalta la storica polemica (dura da oltre un secolo) sull’organizzazione di codesto servizio. Vale la pena ricordare che l’idea prende forma nel 1912, ma i progetti furono interrotti due volte da altrettante guerre mondiali, e solo negli anni ’60 la MM cominciò a materializzarsi, nei decenni succesivi con uno sviluppo notevole che per estensione della rete la porta ad essere la prima metropolitana d’Italia, da sola più grande delle altre cinque esistenti sommate tra loro, tanto da spingermi a definirla l’unica vera rete metropolitana italiana (leggasi: su quella di Roma stendiamo un velo pietoso…)

Tuttavia, fin dall’inizio la metropolitana milanese nasce da un concetto viziato: le linee 1 e 2, che nei loro primi tratti entrarono in servizio rispettivamente nel 1964 e nel 1969, furono arbitrariamente progettate sull’errato, banalissimo principio generale di collegare due periferie passando ad incrociarsi per il centro e le stazioni ferroviarie. Nulla di più sbagliato!, e da questo errore concettuale di pianificazione dei trasporti metropolitani scaturisce nel 1990 anche la linea 3, mentre la nuova linea 5 finalmente non passa dal centro. Sembrerebbe questo un piccolo segnale di cambiamento di filosofia, finalmente, ma invece no: la futura linea 4, da Linate a San Cristoforo, si ostinerà a passare dal centro con interscambi a San Babila e Sant’Ambrogio. Ma dei santi scriverò dopo.

Già il fatto che la linea 5 sia partita prima della 4, ancora inesistente, la dice lunga su che tipo di irrazionalità abbia colpito i pianificatori, politici e tecnici, apparentemente inconsapevoli che il numero 4 venga prima del 5. Se questo è il livello d’istruzione dei nostri politici e tecnici, non c’è da stupirsi che oltre alla sequenza numerica conoscano male anche l’elementare alfabeto. È infatti del tutto evidente che, fin dalle origini alla progettazione delle linee più recenti, sarebbe stato molto più razionale ordinare i percorsi delle linee per ordine alfabetico, ovvero su criterio toponomastico anziché geografico e meramente utilitaristico per i pendolari. Occorreva invece pensare, immaginare fin dall’inizio, dei percorsi della metropolitana pianificati in modo più semplice ed efficace: per ordine alfabetico delle stazioni.

Se oggi potessimo ricostruire la metropolitana milanese (ma temo sia troppo tardi) sulla base dell’ordine alfabetico, potremmo godere di indubbi benefici. Per esempio, potremmo partire da Abbiategrasso e scendere alla prossima già ad Affori, o da lì proseguire per Amendola e infine fare capolinea ad Assago in sole due fermate intermedie. Da Assago sulla 2 a Bisceglie sulla 1, invece del lentissimo autobus sulla cintura sud-ovest, potremmo prendere un treno veloce con sole due soste a Bande Nere e Bignami… e così via, il principio è chiaro: la rete metropolitana del futuro deve venire incontro a esigenze personalizzate dell’utente, finalmente riconosciuto come individuo nel gregge indistinto di pendolari, promosso da utente a cliente per soddisfare le sue necessità. Pensate per esempio al giornalista Mauro Suttora: da Crescenzago, suo luogo di lavoro, scendendo subito dopo alla fermata successiva Crocetta, avrebbe potuto venire più spesso alle riunioni radicali nella vecchia sede di Porta Vigentina, e conseguentemente la sua vita avrebbe potuto prendere una piega meno triste, o forse più triste, ma comunque un cambiamento.

Suttora a parte, si potrebbe continuare a lungo, per esempio col vantaggio di arrivare da Domodossola direttamente in Duomo, e qui a proposito di Domodossola devo tornare su Abbiategrasso. Da quando è stato inaugurato questo capolinea della 2 nel 2005, a causa di un equivoco si è sviluppato un preoccupante fenomeno sociale: ogni giorno migliaia di persone che arrivano in Centrale per poi da qui proseguire verso la città di Abbiategrasso, ebbene gli ignari scendono nel metrò e trovano scritto ABBIATEGRASSO, finendo immancabilmente in Piazzale Abbiategrasso, comune di Milano, dove vengono assistiti dalla protezione civile. Una situazione da campo profughi ormai divenuta insostenibile, anche se per fortuna ci sono poche segnalazioni di dispersi in altri potenziali casi esplosivi: un paio a Bisceglie e Sondrio, nessuno a Gerusalemme, e a Udine solo Mauro Suttora, che tutte le sere quando esce dal lavoro per tornare in città sbaglia verso est la direzione della linea 2 e finisce regolarmente ogni notte nel capoluogo friulano, dal quale riparte alle 5.30 del mattino per ritornare puntale al lavoro. Una vitaccia poco invidiabile.

Ma (mi costringe a ripeterlo) Suttora a parte, si potrebbe continuare a lungo coi vantaggi: avremmo finalmente una linea porta a porta: Porta Genova – Porta Romana – Porta Venezia. E per far contenti i cattolici avremmo anche una linea di santi: Ambrogio, Agostino, Babila, Cristoforo, Donato, Leonardo e Siro, sacro capolinea del tempio calcistico. Ma nell’aula di Palazzo Marino la minoranza di destra si oppone: per i consiglieri di Pdl e Lega all’ordine alfabetico andrebbe preferito quello più equo del sorteggio a caso delle stazioni, giorno per giorno. In questa maniera gli utenti godrebbero di assortimenti a sorpresa ritrovandosi ogni mattina in un posto diverso, con effetti benefici sul loro umore. Gli uomini della giunta Pisapia hanno lasciato trasparire dei dubbi circa tali presunti effetti benefici, giacché l’utente, per quanto soddisfatto della piacevole sorpresa all’andata, si troverebbe poi in grave disagio al ritorno a casa la sera, dovendosi affidare al caso determinare la sua destinazione.

In questo quadro di caos, come sempre fuori dal coro i radicali, che sono ricorsi direttamente alla magistratura per chiedere il blocco di qualsiasi “demenziale cambiamento all’attuale sequenza di stazioni della metropolitana milanese”, si legge nella richiesta urgente di ingiunzione presentata al palazzo di giustizia, appellandosi alle leggi che regolamentano le poste. Le poste infatti, in tutte le stravaganti soluzioni prospettate di riordino delle stazioni, dall’ordine alfabetico al sorteggio a caso, ne soffrirebbero danni economici e morali per i cambiamenti repentini di CAP, fino al punto che i portalettere morirebbero come mosche scontrandosi tra di loro in motorino. Se dunque il metrò per adesso resterà così com’è - respingendo l’innovazione a causa della miopia conservatrice dei radicali e dei magistrati comunisti che ci vorrebbero tutti uguali sullo stesso treno verso la destinazione abituale -, lo si dovrà a un cavillo dell’ottocentesco Codice di Avviamento Postale Protetto e Assicurato sui Trasporti Ovini, noto per brevità con la sua sigla, il famigerato CAPPATO.

Il Codice era originariamente concepito per garantire un adeguato recapito postale, protetto da assicurazione, delle numerose pecore che all’epoca venivano spedite su e giù per la penisola, che allora era ancora un regno. I tempi sono molto cambiati: oggi i cittadini della repubblica e clienti della metropolitana milanese non sono pecore in un regno! Per questo chi frequenta questo blog sa come mi sia sempre espressa per l’eliminazione del CAPPATO, spingendomi a suggerire diverse forme pratiche di cappaticidio che ne contemplino il supplizio, e a questo dovere civico cercherò di non venire mai meno, da oggi anche in nome dell’innovazione nel trasporto pubblico meneghino.

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